
“Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa - non importa quanti esattamente –
avendo pochi o niente soldi in tasca, e niente di particolare che
m'interessasse a terra, pensai di andarmene un po' per mare a vedere la parte
acquea del mondo. È il mio modo di cacciare lo scontento e regolare la
circolazione. Ogni volta che mi vedo spuntare sulla bocca una piega
malinconica; ogni volta che è umido e piovigginoso novembre sulla mia anima;
ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente davanti a un negozio di
casse da morto, e di accodarmi ad ogni funerale che incontro; e specialmente
quando il tedio mi prende al punto che solo una forte integrità morale può
impedirmi di uscire per strada e sistematicamente far volare via il cappello di
testa alla gente, allora capisco che è giunto il momento di mettermi in mare al
più presto. Ė il mio surrogato di una pistola carica. Con uno svolazzo
filosofico Catone si getta sulla spada: io, semplicemente, m'imbarco su una
nave. Non c'è niente di strano in questo. Se solo lo conoscessero, prima o poi
quasi tutti gli uomini, a modo loro, nutrirebbero per l'oceano più o meno i
miei stessi sentimenti.”
Non
posso fare a meno di associare il personaggio di Ismaele e il contenuto di
questi versi al vissuto e alla decisione coraggiosa delle persone sofferenti di
intraprendere il viaggio della psicoterapia.
A metà
strada squilla il telefono e mi accosto per rispondere. Dall’altra parte la
voce di un giovane uomo dice:
“Buona sera Dottor Vincenzo, probabilmente ho bisogno del suo aiuto, da
un po’ di tempo sono confuso, triste, malinconico, la sera dopo che rientro a
casa dal lavoro piango, ho un profondo senso di vuoto, la notte non dormo e non
so più cosa devo fare. Recentemente si è anche conclusa una tormentata
relazione sentimentale. Se fosse per me mollerei tutto. Lei può aiutarmi?”